Intenti e propositi

L’essere imprenditori e amministrare un’azienda, da sempre ha posto alcuni doveri imprescindibili. Il mondo esige sempre di più e corre a velocità sempre maggiore verso la ricchezza, ma oggi ha riscoperto anche la povertà, assieme alla limitatezza intellettuale, morale ed etica. I valori morali annichiliscono: sembra quasi che non sussistano più regole dentro a un meccanismo di diffusa conflittualità fra gli uomini, pervasi da un perenne senso d’inquietudine e scatenati gli uni contro gli altri. Un simile stato di cose ci aliena dal senso più profondo della vita, da quelli che sono i valori che dovrebbero ispirarla e che dovrebbero offrire a ognuno di noi il piacere di viverla. C’è modo e modo di fare impresa, pur tenendone sempre ben presente l’obiettivo primario: il conseguimento di un “profitto” equo, inteso come giusta remunerazione della capacità imprenditoriale di spingersi oltre il rischio. In simile contesto esistono imprese che anelano al lusso del permettersi, nel definire i loro piani d’azione per il raggiungimento del profitto, di dipingere il proprio cammino con i vividi colori dei valori smarriti dalla società dell’epoca attuale. La nostra filosofia d’impresa è esattamente questa: produrre ricchezza in un percorso strategico arricchito da elevati valori umani, morali ed etici. Il progetto della Moneta Reale nasce con questo preciso intento: quello di mettere a disposizione di tutti un mezzo finalmente svincolato da determinate logiche di sistema, in grado di consentire finalmente la piena realizzazione dell’essere umano sotto il profilo spirituale, svincolandolo dalle catene invisibili che lo imprigionano a determinate necessità materiali. La “produzione”, infatti, non è un fatto fisico-naturale ed esterno ma, al contrario, un fenomeno intellettuale e spirituale.

Lo stato dell’arte

La centralità quasi maniacale del fattore economico nell’epoca attuale ha generato una vera e propria “demonìa dell’economia”, in cui domina la cosiddetta “filosofia dell’avarizia”. La “patologia” della civiltà contemporanea sta proprio in una umanità letteralmente ipnotizzata dal fatto economico. Per conto nostro, contestiamo tale degenerazione della società in “società dei consumi”, con l’eliminazione di ogni gerarchia qualitativa, l’atrofia di ogni sensibilità spirituale e il disconoscimento di ogni capacità umana che non abbia una qualche sorta di profittabilità. Il paradosso moderno è dato tutto dal fatto che l’idea fondamentale consisteva nel concetto che il lavoro non dovesse servire per legare, ma per disimpegnare l’uomo: per consentirgli di dedicarsi a più degni interessi, una volta regolato ciò che è richiesto dai bisogni dell’esistenza. Mentre oggigiorno dobbiamo constatare quanto spesso il lavoro renda l’uomo schiavo, mantenendolo in una condizione di eterno bisogno.

L’imprenditore come “homo agens”

Troppo di frequente il modello imprenditoriale in voga – ispirato al “massimizzatore razionale” delineatosi con la teorizzazione dell’homo oeconomicus – si riduce a quel tipo di «gente che conosce il prezzo di tutte le cose, ma il valore di nessuna». A nostro avviso, invece, lo sviluppo di un’economia di libero mercato non può prescindere dalla costruzione di solide fondamenta etiche e culturali. Per noi la funzione imprenditoriale coincide di fatto con l’azione umana. In senso lato, pertanto, si potrebbe affermare che qualsiasi persona che agisca per modificare il presente e per ottenere i proprî obiettivi nel futuro svolga una funzione imprenditoriale. La principale funzione dell’imprenditore consiste nel creare e nello scoprire un’informazione che, prima di allora, di fatto non esisteva. Ogni azione imprenditoriale scopre, coordina ed elimina disomogeneità sociali. Gli squilibri che costantemente si creano con il progressivo avanzare della civiltà allo stesso tempo tendono a essere scoperti ed eliminati dalla stessa forza imprenditoriale dell’azione umana. La funzione imprenditoriale risulta perciò nevralgica, in quanto è la forza che consolida la società e che rende possibile il suo sviluppo armonioso, dal momento che tende a coordinare le disomogeneità che inevitabilmente si producono in tale processo.

Concorrenza e competizione

Il processo sociale è chiaramente competitivo, nel senso che i differenti attori rivaleggiano gli uni con gli altri, in modo cosciente e incosciente, per cogliere e sfruttare le opportunità di guadagno prima dei proprî competitors. C’è una profonda differenza, tuttavia, fra l’essere “competitivi” e l’essere “concorrenziali”. Si tratta più o meno della medesima differenza di prospettive, sottile ma sostanziale, che si ha fra l’accanimento agonistico del “correre per vincere” o il puro piacere di “correre per partecipare” o, ancor meglio, di “correre per se stessi”, per il puro piacere di farlo. La sana e leale concorrenza fra i diversi soggetti agenti nel mercato contribuisce a calmierare i prezzi – che in regime di mono od oligopolio tendono a lievitare indefinitamente – e a mantenere alta la qualità dei prodotti. Chiarito ciò, nondimeno, occorre mettere in guardia rispetto a un’esasperata quanto sterile competitività fra le imprese, con l’unico intento di accaparrarsi quote maggiori di un medesimo settore. Questa prospettiva, infatti, impoverisce sensibilmente quei soggetti che si alienano ingenti risorse destinandole alla reciproca competizione e riduce perfino i margini di capitale dedicato agli investimenti per lo sviluppo di nuove idee. Bisogna superare, insomma, la visione “darwinistica” della competizione intesa come sopravvivenza del più forte, per recuperare il significato etimologico dei verbi “concorrere” e “competere”, che significano “correre insieme” (cum currere) e “convergere verso un medesimo punto” (cum petere). In simile prospettiva la “competizione” s’identificherebbe con una ricerca collettiva in grado di favorire l’instaurarsi di un ecosistema essenziale al mercato e al libero scambio, più simile a una forma di cooperazione: dobbiamo correre tutti insieme convergendo verso un unico traguardo, cooperando – proprio come in una staffetta – lungo il percorso. Le forme di guadagno più redditizio e duraturo, infatti, non sono quelle frutto di antagonismi ma quelle fondate sul denaro “cooperativo”, la cui ricerca induce a fondere insieme le diverse competenze e capacità nel tentativo di realizzare il proprio “dono” all’umanità, spartendosi i compiti e le mansioni più che le quote di mercato. Il punto essenziale da non sottovalutare mai e da tenere sempre bene a mente, d’altra parte, è come, in un’economia di mercato, per essere cooperativi non si possa comunque prescindere dall’essere concorrenziali, nel senso che per “competere” occorre innanzi tutto essere “competenti” in ciò che si fa.

Gli orizzonti del “business sociale”

La costruzione di un’etica sociale condivisa permetterebbe anche, di pari passo, di far fronte alle sperequazioni sociali che sussistono in molte aree del pianeta, promuovendo parallelamente lo sviluppo e la diffusione di quella nuova forma produttiva attualmente nota come social business: un tipo di attività economica che ha di mira la realizzazione di obiettivi socialmente utili anziché la mera massimizzazione del profitto. Si tratta del concetto ben sintetizzato nella formula «coltivare valori per produrre valore». Non l’idea di una graziosa elargizione di elemosine, dunque, né quella obsoleta di aiuti pubblici a pioggia, bensì una forma di iniziativa economica capace di attivare le dinamiche migliori del libero mercato conciliandole di pari passo con l’aspirazione a un mondo più giusto e a misura d’uomo. Un capitalismo più completo, in buona sostanza, il quale contempli principalmente imprese che abbiano fra i proprî scopi non soltanto il raggiungimento del profitto, ma anche l’ampliamento della ricchezza sociale.

Antiche ricette

Il punto per noi nevralgico concerne le molteplici funzioni assolte dal denaro: 1. misura del valore (moneta come unità di conto); 2. mezzo di scambio (moneta come strumento di pagamento o intermediazione); 3. riserva di valore (moneta come deposito di ricchezza). Per svariate ragioni è bene che le ultime due funzioni non coincidano nella medesima moneta, bensì risulta opportuno scomporre le diverse proprietà che caratterizzano il denaro mettendo in circolazione differenti monete specializzate fra loro complementari. Alla valuta utilizzata come mezzo di scambio si dovrebbe applicare il cosiddetto demurrage, ovvero un costo predefinito associato con la proprietà o il possesso della valuta in un determinato periodo di tempo. Tale espediente, infatti, pur mantenendo inalterato l’effetto transattivo e precauzionale contribuisce a prevenire quello speculativo – in quanto opera esclusivamente al livello dell’economia reale – aumentando di pari passo la velocità di circolazione: ed è ben noto che più il denaro circola, più si moltiplica creando così ricchezza. L’inflazione e la svalutazione, viceversa, associate al denaro nella sua veste di riserva di valore, evidentemente, generano nient’altro che povertà. Tali inconvenienti sono annullabili tramite la differenziazione delle valute e l’ancoraggio della moneta utilizzata come deposito di ricchezza ad un sistema aureo, che ne garantisca nel tempo il valore intrinseco. Il bene-rifugio, ad esempio, potrebbero essere gli stessi metalli preziosi, in quanto tali, senza bisogno di conio, il che permetterebbe di scongiurare gli effetti indesiderati impliciti ai sistemi bimetallici ben evidenziati nella “legge di Gresham”, esaltandone di pari passo il valore universale. Nel corso dei decenni sono stati ideati vari sistemi per ovviare a detti problemi: dalla “moneta di ghiaccio” alle “banconote bollate”, dal “sistema di risparmio bilanciato” al “denaro neutrale”, per citarne solo alcuni.

Il nostro sistema

“Moneta Reale” costituisce un progetto appositamente ideato al fine di offrire un supporto ai differenti attori socio-economici nell’attuale situazione, con lo specifico obiettivo di risultare funzionale in parallelo anche allo stesso sistema finanziario. Il “sistema economico reale”, unico elemento in grado di produrre ricchezza concreta, è ostaggio delle scelte partorite nell’ambito della speculazione finanziaria, senza alcuna possibilità effettiva di concorrere efficacemente nella produzione della ricchezza. Il settore dell’“economia reale”, di fatto, ha sempre dovuto subire l’ingerenza del potere politico e finanziario. Il nostro sistema, per contro, prevede che l’attore principale della crescita economica sia il mondo dell’“economia reale”. Il modello della “Moneta Reale”, infatti, consente di sviluppare la domanda aggregata di beni e servizi da parte di famiglie ed imprese senza la necessità di ricorrere ai consueti strumenti di politica economica utilizzati in condizioni di recessione. Il progetto “Moneta Reale” è stato espressamente concepito per invertire il processo: da quello basato sulla finanza motore della crescita economica a quello costruito sulla crescita economica come presupposto fondamentale della finanza medesima, prendendo le mosse dalla produzione reale per creare risorse e ridurre l’indebitamento pubblico e privato. Esso intende considerare il debito produttivo come una sorta di ricchezza anziché come un peso per l’economia. Semplificando: la proposta che sovente viene presentata di aumentare il debito pubblico per rilanciare la ripresa economica si vede sostituita da quella in cui si prevede di rilanciare la ripresa economia pagando in tal modo il debito. Il modello della “Moneta Reale” potrebbe in tal modo recuperare la sovranità monetaria sfruttando il valore produttivo insito nei debiti e crediti reciproci di tutti i soggetti del sistema. Con la “Moneta Reale”, infine, sarebbe possibile effettuare una svalutazione economica assai più efficace di quella canonica in quanto il nostro modello non consente la reimportazione dell’inflazione dalle importazioni di materie prime.

Sintesi conclusiva

Il progetto della “Moneta Reale ” si traduce, in sostanza, nel ripensare il modello comunitario riformandolo sulla base di un rinnovato sistema economico-finanziario. Il quid in più, tuttavia, che a nostro avviso la “Moneta Reale ” possiede rispetto a tutti gli altri modelli ideati nel passato più o meno recente consiste nel dono di riuscire a coniugare idealismo e concretezza! Nel nostro progetto, d’ altronde, non occorre rivoluzionare l’ esistente per mutare la prospettiva: è sufficiente utilizzare adeguatamente gli strumenti già messi a nostra disposizione per bypassare certi nodi. Si tratta di una sorta di surfing sulla cresta dell’ onda, che ci consente di sfruttare al meglio la forza del mare per spostarci velocemente a nostro piacimento senza venirne travolti. Insomma, esattamente come fu per l’ uovo di Colombo, gli strumenti a disposizione ci sono tutti. Fino ad oggi mancava soltanto chi avesse il lampo di genio su come utilizzarli. E, soprattutto, l’ ardire di lanciarsi nella perigliosa impresa della traversata di un oceano ignoto al di là delle colonne d’ Ercole, con un equipaggio altrettanto impavido e visionario. Adesso tutto questo c’è: sali a bordo!